Molti di voi avranno sentito parlare di Pitagora, il famoso filosofo inventore dell’armonia musicale, conoscitore dei segreti della filosofia egizia, caldea e fenicia, iniziatore della scuola che da lui prese il nome e dell’altrettanto nota dieta pitagorica.
Non tutti sanno però che Pitagora era anche un po’ italiano, nato a Samo, isola greca dell’Asia minore, si trasferì in Calabria e più precisamente a Crotone, nel cuore della Magna Grecia, per sfuggire alle ingiuste regole della tirannide di Policrate. Ciò non ci stupisce, data l’insofferenza del libero pensiero alle restrizioni e alle imposizioni dogmatiche, ciò che potrebbe destare meraviglia è invece il regime alimentare pitagorico!
La scuola, infatti, nell’antica Grecia non rappresentava un semplice agglomerato di persone, era bensì intesa come un vivere insieme, come una vera e propria comunità che condivide l’esistenza in tutte le sue sfaccettature.
In questa scuola, detta “emiciclo di Pitagora”, si osservava una dieta quasi vegetariana. Le notizie relative a questa dieta pitagorica vegetariana provengono già da fonti antiche della portata di Diogene Laerzio, Porfirio e Giamblico. Sono questi tutti filosofi vissuti in un periodo successivo a quello nel quale visse Pitagora, le cui radici sono circondate da un alone mitico e arcaico. Si tratta di un orizzonte in cui l’uomo era tutt’uno con la natura, non ancora diviso, scisso o separato da essa.
Porfirio, nella vita di Pitagora, sostiene che Pitagora era talmente puro da rifuggire le uccisioni e gli uccisori e da astenersi dagli esseri viventi. Non osava avvicinarsi mai neppure a macellai e cacciatori.
Lo stesso Porfirio riporta un curioso aneddoto relativo alle fave:
Visto a Taranto un bue mangiare in un pascolo di varie erbe fave verdi, avvicinatosi al bovaro, gli consigliò di dire al bue di astenersi dalle fave. Poiché il bovaro si prese giuoco di lui e disse di non saper parlare alla maniera dei buoi, Pitagora avvicinatosi sussurrò nell’orecchio al toro non soltanto di stare allora lontano dal campo di fave ma anche di non toccare mai più in seguito fave. E il bue vissuto a lungo è rimasto a Taranto, invecchiando nel santuario di Era e detto “il bue Sacro”, nutrendosi del cibo che i visitatori gli porgevano.
Ma perché le fave non si potevano mangiare? Sono sicura che i più maliziosi tra voi hanno già trovato una risposta!
“Per te lo stesso è nutrirti di fave o delle teste dei tuoi genitori” così sentenziava il filosofo greco in un suo criptico verso. Le fave somigliano alle parti vergognose e del resto questo è evidente in alcune forme dialettali della lingua italiana.
C’era però anche un motivo più religioso, dell’interdizione delle fave dalla dieta pitagorica! Le fave rappresentavano la porta dell’inferno in quanto sono l’unica pianta priva di nodi sulla quale le api non si posano. C’è da fare una precisazione: Pitagora credeva che l’anima non perisse dopo la morte ma che fosse soggetta ad un ciclo di reincarnazioni, proprio come nel buddismo e nelle dottrine orientali.
Le anime che avevano fretta di reincarnarsi passavano attraverso le fave prive di nodi, mentre invece le api che rappresentano le anime pure non si posano mai sulle fave!
Vediamo quali erano gli alimenti di una giornata tipo nella tavola del grande maestro Pitagora!
DIETA PITAGORICA
La colazione era a base di favi o miele, il pranzo a base di pane di miglio o di una focaccia e legumi cotti e crudi, raramente di carni di vittime sacrificali e non se ne mangiavano tutte le parti.
C’era anche una dieta per saziarsi e dissetarsi quando ci si recava a fare pellegrinaggio nei santuari per qualche tempo. Pitagora usava cibi che smorzavano la fame e la sete:
per la fame metteva insieme
- semi di papavero,
- sesamo,
- corteccia di cipolla lavata accuratamente finché fosse stata pulita del succo,
- steli di asfodeli,
- foglie di malva,
- farina di orzo,
- ceci,
tutti ingredienti che tagliati in eguali proporzioni bagnava con miele dell’Imetto.
I cibi che smorzavano la sete invece li metteva insieme da
- semi di cocomeri,
- uva passa profumata, togliendone gli acini,
- fiore di coriandro,
- ugualmente semi di malva,
- fragola selvatica,
- formaggio grattugiato,
- fior di farina di frumento,
- grasso di latte,
il tutto mescolato con miele delle isole.
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